Marte: edificio del Parlamento della Federazione Interplanetaria
Il senatore Claus Friedman poggiò le mani sull’ossidiana lucidata del tavolo della conferenza. Si trovava nella Sala della Costituzione del Parlamento marziano, tre livelli sotto il regolite, nascosto sotto la polvere rossa che all’esterno strisciava sulla superficie in tempeste incessanti. Questo luogo, questo monumento alla prudenza, respirava ozono filtrato e metallo freddo. Le pareti tremolanti mostravano immagini statiche delle cupole marziane e dell’altopiano rosso, una desolata landa silenziosa. Ma davanti a lui fluttuavano ologrammi colorati e dinamici della flotta interstellare, stelle scintillanti che riflettevano le sue visioni a lungo raggio. Qui, al suo interno, nasceva il futuro.
Come presidente della commissione senatoriale per le relazioni interstellari, Claus faceva da ponte. Il suo compito: vendere visioni.
«Signore e signori,» iniziò. La sua voce non era un organo risonante, ma dolce, come un argomento levigato che non spezza le resistenze, ma le aggira. «Siamo all’inizio di una nuova era. L’espansione nel braccio di Orione promette non solo il trasferimento tecnologico, ma una diversificazione della nostra economia, che creerà miliardi di posti di lavoro.»
Le teste iniziarono ad annuire. I volti si fecero attenti, non appena la parola miliardi trovò la sua strada.
Claus bevve un sorso d’acqua filtrata. La lingua ricordava gli ultimi dieci anni. Un giovane xenobiologo aveva una volta individuato i più grandi salti scientifici solo nella ricerca pura, nella decodifica di minuscole firme biochimiche della vita. L’attuale Claus sapeva che la decifrazione di un segnale interstellare poteva richiedere un decennio, se portata avanti solo per curiosità.
Pensò agli algoritmi per il nuovo motore FTL, incompiuti sul suo server privato. Questa tecnologia avrebbe reso i viaggi interstellari molte volte più sicuri, ma richiedeva enormi capitali privati – fondi che arrivavano solo se gli investitori si aspettavano profitti dalle stelle. Claus scacciò il ricordo delle fini strutture della fisica teorica. Aveva bisogno di quei senatori, aveva bisogno del loro mantello d’oro per dorare i suoi sogni idealistici. Doveva accettare il compromesso politico: vendere la curiosità interstellare come boom economico. Solo così la strada per la presidenza sarebbe stata libera, solo così il titolo di “Padre dell’era interstellare” gli avrebbe dato il potere di costruire ciò che contava veramente: il suo istituto di ricerca e la sua flotta.
I suoi argomenti ebbero l’effetto sperato, ma nel mezzo del tavolo il generale Nikolai Iljuschin, il comandante del comando spaziale militare, intrecciò le mani massicce e annuì lentamente. Un segno di diffidenza, che Claus registrò ai margini del suo campo visivo. Iljuschin, il suo diretto e dichiarato oppositore, incarnava la paura e l’isolamento in questo dibattito.
Improvvisamente un nuovo ologramma lampeggiò sul display, sovrapponendosi alle carte stellari strategiche. Una sonda, in orbita al margine del sistema Wolf-1061, riversava una marea di dati nella sala. Una pulsazione complessa e ritmica, che rompeva tutti i modelli astrofisici conosciuti. Nessuna fonte naturale.
L’atmosfera rilassata della sala si spezzò. Il ronzio della ventilazione sembrò improvvisamente provenire da appena dietro di lui.
«Questa potrebbe essere un’opportunità per portare la comunicazione interstellare a un nuovo livello,» interruppe Claus il silenzio. La sua voce mantenne un tono calmo e controllato, quello che conservava sempre nei momenti tesi. Sapeva: solo attraverso la calma avrebbe guidato il dibattito nella giusta direzione. «Dobbiamo agire con prudenza, ma anche con coraggio. Il primo passo è un dialogo aperto.»
Il generale Iljuschin alzò una mano. «Senatore Friedman, con rispetto. Un dialogo aperto con una potenza sconosciuta? Non sono partner economici che bussano. Questo è un potenziale rischio militare. La prima direttiva del comando prevede un’immediata e completa schermatura. Dobbiamo proteggere i nostri impianti di terraformazione, la nostra infrastruttura critica, prima di inviare anche solo una parola di curiosità.» La sua voce era dura, con il sottotono metallico dell’autorità.
Schermatura significava stallo, significava la distruzione dei piani di Claus di orientare il mondo verso di lui.
«Generale,» Claus si appoggiò allo schienale, un gesto di superiore tranquillità. «I più grandi progressi dell’umanità sono nati dalla curiosità e dalla cooperazione, non dall’isolamento e dalla diffidenza. Non dobbiamo congelarci nella paura solo perché qualcosa è nuovo. Sarebbe un tradimento dello spirito pionieristico che ci ha portati fin qui su Marte.»
La dottoressa Kira Volkov, la giovane deputata per cultura e comunicazione, si chinò verso la sua vicina di posto, la deputata Naledi. Claus si concentrò. Aveva bisogno di questo sostegno informale per tenere a bada i più rigidi. Vide Kira fissare il segnale olografico e poi sussurrare a Naledi, abbastanza forte perché Claus lo percepisse nell’immobilità della sala come un’onda: «Non è solo scienza, Naledi. È la nostra occasione di definire chi siamo come cultura: aperti, non aggressivi. Iljuschin vuole farci tornare cavernicoli.» Questo giudizio, ad alta voce, chiaro e politicamente pungente, era oro per lui. Claus lo accolse con un breve, affascinante cenno, che strappò a Kira un lieve sorriso strategico. Gli aveva passato la palla.
Il dibattito degenerò in un acceso confronto. Iljuschin presentò dati su possibili sistemi d’arma e sottolineò le lezioni della storia terrestre: il più forte vince. Pretese l’applicazione immediata del “Protocollo Sigma” – uno scudo EMP planetario che avrebbe tagliato ogni comunicazione verso l’esterno fino a chiarimento della natura del segnale. Claus percepì la crescente paura sui volti di alcuni senatori, le mani che accarezzavano nervosamente le superfici lisce dei tavoli.
Claus sapeva che doveva agire. Si alzò, la postura tesa ma non aggressiva.
«Amici miei.» La sua voce riempì la sala senza gridare. «Dobbiamo chiederci che cosa siamo. Siamo discendenti di specie che, per paura, chiusero le porte e alla fine scomparvero nell’oscurità? O siamo gli architetti di una civiltà galattica?»
Si avvicinò alla finestra, che offriva la vista sul rosso morto là fuori, separato solo da una spessa lastra trasparente. Il contrasto lo sopraffece. Il deserto infinito. Un luogo senza vita spontanea.
«Là fuori,» Claus indicò i pendii liferi dell’Olympus Mons, «giace la Terra che abbiamo lasciato. Un mondo che ha quasi soffocato se stesso. Siamo venuti qui per creare un nuovo modo di esistere. Uno basato sull’espansione, sull’apertura e sul coraggio della prima domanda.»
Tornò al tavolo e fissò il volto rigido di Iljuschin. «Il Protocollo Sigma è isolamento. L’isolamento è il contrario del progresso. Propongo di puntare sulla nostra forza, che risiede nella curiosità scientifica.»
Toccò il proprio display. «Chiedo un voto immediato. Non sul Protocollo Sigma, ma sul Protocollo Prometeo: inviamo una sequenza matematica semplice e non criptata. Una serie di numeri primi. Dimostra intelligenza senza minaccia. Mostriamo chi siamo: scienziati curiosi, non soldati impauriti. Questa è la mia deliberazione esecutiva come presidente della commissione, e ho bisogno della ratifica del Senato, ora.»
L’aria vibrò. Iljuschin lo fissò, gli occhi ridotti a fessure.
«È un gioco rischioso, Claus!» sputò Iljuschin.
«Questo lo chiamo leadership, Generale. E lei sa che il mio istituto di xenobiologia ha sviluppato i migliori algoritmi per la decifrazione. Abbiamo la maggiore competenza per comprendere il segnale, non per temerlo.» Claus calò il suo asso scientifico.
Il presidente del Senato, un vecchio che comprendeva a fondo l'ambizione politica di Claus, annuì brevemente. «Votiamo. Subito.»
Claus sentì l’adrenalina fredda scorrergli nelle vene. Era una scommessa. L’intero futuro della sua carriera dipendeva da questo momento.
Quando, nel mezzo della votazione, l’ologramma della sonda esplose. Non con un segnale d’allarme, ma con una seconda, nuova serie di dati. La sequenza di numeri primi non era solo stata riconosciuta, era stata immediatamente specchiata e proseguita. L’essere là fuori rispondeva nel linguaggio della matematica, più veloce di qualsiasi sistema umano conosciuto. Non era un gesto ostile, era un invito.
Un respiro collettivo nella sala. I senatori rimasero immobili, i display con i risultati della votazione sembrarono congelarsi.
Claus sorrise, un sorriso autentico, senza maschere. Lo xenobiologo aveva superato il politico.
«Signore e signori,» disse, con un trionfo sommesso, «credo che la nostra risposta sia già stata inviata. E gli alieni… hanno portato la torta.»
La votazione si concluse. Con un’enorme maggioranza dell’87% il Senato confermò il Protocollo Prometeo. Il generale Iljuschin sussurrò una bestemmia, ma nel suo sguardo brillò un esitante riconoscimento. Il secondo segnale, la risposta immediata e cooperativa, aveva spezzato la paura dei più rigidi.
Claus lasciò la sala. Il freddo silenzio sterilizzato dei corridoi lo avvolse. Non pensava più alle manovre politiche. I suoi pensieri ruotavano attorno alla continuazione matematica della sequenza. Era bellissima. Elegante. Era vita.
Raggiunse il suo ufficio privato, una piccola stanza che conteneva solo i proiettori necessari e una comoda chaise longue. Sul tavolo olografico davanti a lui tremolava ancora il risultato della votazione. Questo risultato non solo garantiva la comunicazione interstellare, garantiva anche il finanziamento immediato e completo per il suo nuovo istituto di ricerca. La prima pietra per la “Alleanza Galattica” era posata. L’ascesa alla presidenza era ormai solo una questione di tempistica.
Claus disattivò tutti i display. L’illuminazione della stanza si attenuò. La luce al neon fredda di Marte cedette al buio. Si sedette e prese un piccolo cubo di vetro antico da un cassetto – niente alta tecnologia, ma un relitto. Attivò l’applicazione: la proiezione di una candela tremolò al centro del cubo, un caldo giallo digitale. L’unica fonte di calore in quel profondo bunker freddo.
Era iniziato il tempo dell’Avvento. Un momento di riflessione umana nella profondità dello spazio. Inviò una breve trasmissione mentale al suo assistente.
«Invia i protocolli per la decodifica della seconda sequenza al mio team di xenobiologia. E aggiungi un commento: non ci serve più la torta. Dica al generale Iljuschin che la prossima settimana gli manderò il miglior Bordeaux del terroir del Valles Marineris. Che lo beva mentre iniziamo il primo vero dialogo.»
Claus si lasciò andare, la luce calda della candela digitale si rifletteva nei suoi occhi. La polvere rossa di Marte là fuori attendeva. Ma il cielo sopra ora era aperto. Era il padre dell’era interstellare, un idealista con un piano, che sapeva che il più grande dono nell’oscurità era la speranza incrollabile che aveva appena inviato alle stelle.
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